Stanchezza, frustrazione, rabbia, delusione e sconforto non vanno demonizzati né esorcizzati.
Non è sbagliato arrabbiarsi, sentirsi in difficoltà nel proprio ruolo di genitore.
Quello che è sbagliato è millantare, sui social o altrove, che esistano genitori che non incontrano queste difficoltà quotidiane.
Quello che è sbagliato è assecondare il nostro innato desiderio di confronto e continuare a farlo senza alcuna compassione per noi stessə e senza mettere in mai in discussione la veridicità di ciò che ci viene mostrato in superficie dagli altri.
Quello che è sbagliato è far sentire gli altri inadeguati e incapaci rispetto ad un mestiere, quello del genitore, che nessuno ci ha insegnato e che non ha test di ammissione all’ingresso.
Che tu l’abbia voluto o meno, ti ritrovi dentro con tutte le scarpe in qualcosa di molto più grande di te, di totalmente inaspettato, che mette a dura prova la tua resistenza fisica e mentale.
No, non sono gli Hunger Games, ma per certi versi non si discostano poi così tanto.
È un gioco di sopravvivenza alla deprivazione del sonno, alle crisi emotive, al senso di inadeguatezza, alla stanchezza psicofisica, ai sensi di colpa.
Ami tuo figliə più di te stessə, ma ogni tanto pensi che un po’ ti manca la vecchia e semplice vita.
Ovviamente non osi ammetterlo ad alta voce. Perché sei un’ingratə anche solo a pensarlo, perché chissà che cosa penserebbero gli altri di te, perché è socialmente disdicevole non conformarsi all’immagine idilliaca della genitorialità che ci viene venduta.
Possiamo leggere, informarci, confrontarci e crocifiggerci quanto vogliamo, ma la verità è che continueremo ad essere genitori imperfetti e fallibili.
Quello che possiamo fare, però, è imparare dai nostri errori, cadere un po’ meno frequentemente e rialzarci sempre più forti.
Imparare a raccontarsi la verità e a perdonarsi, forse è tutta qui la chiave.
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